“Il basket è l’unico sport che tende al cielo. Per questo è una rivoluzione per chi è abituato a guardare a terra”, così diceva William Felton ‘Bill’ Russell, grande cestista e allenatore di pallacanestro statunitense, primo capitano NBA con più titoli in assoluto. E sicuramente al cielo ha sempre guardato anche Giuseppe Poeta.
Playmaker, classe 1985, Giuseppe Poeta, nativo di Battipaglia, si può dire sia cresciuto a pane e canestri. Attuale capitano della Pallacanestro Reggiana, è arrivato a Reggio Emilia, dopo aver vestito varie maglie italiane: Salerno, Veroli, Teramo, Virtus Bologna, Trento e Torino; oltre a quelle di Baskonia e Manresa in Spagna. Giuseppe ha ottenuto anche importanti riconoscimenti come il premio ‘Reverberi’, praticamente l’Oscar del basket, come Miglior Giocatore Italiano, nel 2008; nella stagione 2008-2009 è stato nominato anche MVP (Most Valuable Player) del girone di andata della LEGABASKET SERIE A . È stato per me un piacere immenso poterlo raggiungere telefonicamente e parlare insieme dell’attuale situazione del basket, in tempi di lockdown, ma anche di aspetti passati e futuri della sua vita sportiva e non.

La stagione del campionato di basket 2019-2020 sembra ufficialmente chiusa, come quella del volley e del rugby ,e sembra non verrà assegnato alcun titolo: cosa ne pensi a riguardo?
Purtroppo è stata una decisione obbligata. All’inizio si è provato a combattere a porte chiuse, poi è stato sospeso tutto nella speranza di riaprire. Alla fine si è dovuto cedere a qualcosa che è più grande di noi. Oggi come oggi la priorità è la salvaguardia dell’aspetto umano e sanitario. Solo quando tutto questo finirà potrà ripartire tutto lo sport.
Sei d’accordo con la politica che alcune società sportive hanno adottato riguardo la riduzione degli ingaggi per questo periodo?
Noi come associazione abbiamo trovato subito un accordo molto intelligente con la Lega. Senza sterili polemiche e con una grande onestà intellettuale abbiamo fatto un passo, uno verso l’altro. Per i restanti mesi abbiamo fatto cinquanta e cinquanta, tutta la serie A di basket si è tagliata due stipendi su quattro per andare incontro alle società. È stato un compromesso intelligente, responsabile e credo anche molto giusto.
So che sei un grande appassionato e tifoso di calcio, cosa pensi di questo grande polverone mediatico intorno al campionato italiano “si ricomincia -non si ricomincia“?
Seguo il calcio e mi piace molto. Obiettivamente gli interessi del mondo calcistico sono molto più elevati e ci sarebbe anche maggiore sostenibilità nella possibilità di giocare a porte chiuse, perché tutti i diritti televisivi, molto importanti, che ci sono garantirebbero questa sostenibilità. A differenza di quanto accade per il basket o il volley, per i quali giocare a porte chiuse avrebbe poco senso soprattutto in questa situazione. Diciamo che loro possono permetterselo e quindi vogliono giocarsi tutte le carte fino in fondo. Ci sarebbero perdite troppo importanti nei bilanci di società, che muovono soldi e tanti posti di lavoro rilevanti. Quindi capisco bene: ognuno combatte la propria battaglia.
Da veterano ed attuale capitano della pallacanestro Reggiana, com’è rapportarsi con i giovanissimi? Pensi ci sia stata un’evoluzione nel basket rispetto agli anni passati?
Ovviamente le situazioni sono cambiate, le generazioni sono cambiate. È del tutto naturale, ci si evolve. Il mondo si è trasformato anche con l’avvento e l’affermazione sempre più forte dei social network e di tutto quello che c’è intorno anche a livello mediatico. È fondamentale stare al passo con il cambiamento e anche trovare modi sempre nuovi per stimolare le nuove generazioni.
Ho seguito la tua carriera sportiva dagli esordi, stagione dopo stagione: quali sono le tue tre “Greatest Hits” i ricordi più belli del tuo percorso, che ti porti dentro?

Non credo di riuscire a stilare una vera e propria classifica. D’impatto ti direi la vittoria della Coppa Italia da capitano a Torino, l’esordio in Nazionale e la partita di serie B in cui ho fatto 51 punti e che mi ha lanciato poi in serie A.
Quanto è rimasto del ragazzino che non perdeva mai occasione di fare due tiri a canestro, al di là degli allenamenti ufficiali?
Fortunatamente tanto. Sono ancora innamorato dello sport che pratico e non lo considero per nulla un lavoro. Mi sento un privilegiato, un fortunato perché posso vivere della mia passione in maniera totale. Ed è la stessa passione che avevo da bambino e penso che sia proprio questa la chiave dei risultati e anche quello che ti fa vivere con meno fatica i sacrifici.
Come trascorre il tempo uno sportivo in questo difficile periodo? E com’è stare lontano da famiglia e amici?
Non è facile però obiettivamente c’è molto di peggio. Ai nostri nonni è stato chiesto di andare a combattere in guerra a noi viene chiesto sostanzialmente di stare sul nostro divano. Io comunque provo a dedicare tempo a cose che prima facevo di meno come leggere un po’ di più, vedere qualche serie TV, magari fare videochiamate anche a persone che non sento da un po’. Ovviamente cerco anche di allenarmi un’oretta al giorno in casa, per quel che si riesce e cerco di programmare il futuro nel migliore dei modi.
Oltre che la sfera sportiva di Giuseppe Poeta ho cercato di scoprire anche quella più personale chiedendogli dei suoi hobbies e delle sue passioni al di là del basket. Lui stesso si è definito, in maniera molto simpatica, il tipico italiano medio che ama tutte quelle che sono le semplici ma più autentiche bellezze della vita: viaggiare, la buona cucina, condividere bei momenti con gli amici. Anche nella musica le sue tendenze si orientano molto sul nostrano in particolare il pop Italiano: in generale, dice, gli piace tutto quello che si può canticchiare sotto la doccia e che riesce a regalarti una parentesi di buon umore. E al di là della sua tenacia, della sue capacità e dei suoi meritatissimi risultati, è proprio questo il bello di Giuseppe Poeta: la sua spontaneità, la sua onestà, il suo essere rimasto il ragazzo di sempre.
Cosa pensi di fare finita la carriera da giocatore, che mi auguro finisca il più tardi possibile: resterai nel mondo del basket?
Bella domanda. In realtà non lo so. Sicuramente il mondo del basket l’ho vissuto a 360°, è quello in cui mi sento più preparato, rispetto al quale possiedo il giusto knowhow, però non voglio precludermi nulla. Per adesso mi godo gli ultimi due, tre anni di carriera e poi valuterò.