Se voi mi chiedeste dove fossi il 13 novembre scorso, io vi risponderei a Mantova, sul ring, a gareggiare per il titolo italiano di Pesi Welter. Non c’ero io di sicuro, la mia stazza da lockdown non fa di me un un pugile, figuriamoci un peso welter. C’era semplicemente Dario Socci, boxer salernitano, e con lui a combattere il titolo tutta la città di Salerno, compreso il sotto scritto.
La periferia della cittadina campana è stata madre dei pugni di Dario fin dagli inizi, prima di fare di lui un campione che portasse il nome di Salerno in tutto il Mondo. – “From Salerno, Italy, he brings a professional record consisting of twelve wins four defeats two draws six of his twelve come by way of knockout, ladies and gentleman please welcome Dario, italian trouble, Socci” – Ogni volta, ogni maledetta volta, mi brillano gli occhi, mi trema la voce –
Classe 1988, dopo un’intensa battaglia torna da Mantova lasciando a Tobia Giuseppe Loriga il vessillo di detentore del titolo. Ma il 43enne crotonese stavolta si è trovato difronte un cattivo cliente. Dario, al suo primo incontro sul suolo italiano, ha scalfito nell’orgoglio il veterano calabrese che nel 2008 sfidò Julio Cesar Chavez Jr, figlio di Julio Cesar Chavez, “il toro di Culiacan”, leggenda della boxe Messicana.
Da poco ha combattuto e vinto un secondo incontro in Italia, a Roma, contro Jovan Giorgetti, pugile italo – giamaicano con ventisei match all’attivo. La carriera di Dario è in fermento, e i suoi pugni non vogliono saperne di arrestarsi per ora.
Però dove siano diretti i ganci di Dario, meglio che lo dica il diretto interessato. Sul ring, o meglio all’angolo, ad ascoltare impressioni di sport, impressioni di vita.
Quello di Mantova, il tuo primo incontro sul suolo italiano. L’ Italian Trouble ha lottato negli Usa, in Germania, Sud Africa, Messico, Inghilterra e Croazia. Cosa ti ha tenuto fuori dai ring dello stivale? Da cosa differisce la boxe nel nostro Paese da tutti gli altri posti in cui hai combattuto?
In Italia non è possibile vivere di pugilato, ma io ho sempre avuto questo sogno. Quindi firmai il primo contratto da professionista negli Stati Uniti. Sono arrivato lì per realizzare il sogno americano. C’è molta più promotion, molta più attenzione sui match, molta più cultura.
Si riesce ad interpretare con più difficoltà la boxe in Italia, sono da due decenni che non viene trasmessa la boxe in tv nel nostro Paese. Oggi questo sport è diventato “gourmet”, è diventato difficile giudicare un match, molte cose sfuggono agli occhi di una persona inesperta. La promotion fa la differenza, come viene sponsorizzata e pubblicizzata ha un valore importante.
Cosa ti ha condotto la prima volta in una palestra di pugilato, in una città dove l’esclusiva ce l’hanno senza pari il calcio, la rena e il mare? Mi racconti dei tuoi inizi? Quando hai iniziato a sognare di diventare un pugile?
Era l’unica scelta, sono andato via di casa a15 anni. Era l’unico sport che potevo permettermi perché era gratis. A Pastena, rione di Salerno, c’era una palestra popolare e chi si iscriveva alla FPI poteva allenarsi gratis. A scuola ci andavo poco e quindi iniziai tutto questo come passatempo. Poi mi sono appassionato a quella concezione mentale, al senso di disciplina, al rispetto. É uno sport individuale e non devi ringraziare nè prendertela con qualcuno quando perdi. E per un individualista ed orgoglioso come me è molto rilevante, è lo sport ideale per me che sono abituato a fare tutto da solo.
Ho sempre paura che mediaticamente e culturalmente della boxe se ne tragga solo ed esclusivamente la violenza e la brutalità di certe immagini. Cosa si cela dietro la “barbaria” di una lotta di pugni di questo sport che hai amato e ami?
É uno sport che risale all’antica Grecia, credo sia uno sport nobile Quando combatti, si esprime tutto quello che hai dentro e lo si condivide con chi hai difronte. C’è uno scambio totale con l’avversario. Se ci pensi è come il sesso, tendi ad amare l’altra persona, perché con lui c’è uno scambio intimo. In quell’atto che sembra violenza, c’è in realtà tutto.
I media tutti raccontano di una tua grande prova a Mantova contro il detentore del titolo. C’è amaro? C’è voglia di riscatto? Cosa ti sei portato dietro di positivo e di negativo da quell’incredibile esperienza?
Dopo certe esperienza penso che di negativo ti porti sempre poco. Meglio l’amarezza di una sconfitta che il rimorso di non aver combattuto. Ho avuto un black out nella parte centrale del match, probabilmente questo mi ha penalizzato, anche se credo che quello che mi ha penalizzato di più è stata la promotion del mio avversario, ho combattuto a casa sua. I punteggi forse analizzati da un giudice imparziale, probabilmente avrebbero dato ragione a me. Lui portava dopo i segni del match più vistosi, a differenza mia. Un rammarico forse per quel blackout, che gli ha consentito di aggiudicarsi l’incontro in modo poco chiaro.
Combatterò presto per il titolo internazionale, sono stato fermo un giro causa il titolo italiano.