“A nove anni ero cento kg, e nessuno mi avrebbe preso a giocare a calcio, ho sempre creduto che fossi destinato a fare questo”.  Così inizia la chiacchierata tra me e Fabio Staibano, ex rugbista, che ha da poco terminato la sua carriera. E’ uno dei cimeli più  cari alla città di Battipaglia in termini di sport, ex pilone della Nazionale Italiana che nel 2012 arriva a disputare il “Torneo Sei Nazioni”, probabilmente la più grande ambizione che un rugbista possa avere nella sua vita.

Avrebbe annoiato   improntare una discussione,  un’intervista, sviolinando ed esaltando le gesta di un atleta, ma ho voluto fortemente  ci spiegasse l’essenza di questo sport, di quella follia che è alla base di questa disciplina, che lui definisce “follia controllata”, perché per l’appunto devi saper gestire questo grande vortice interiore che spinge per uscire fuori.

Per prassi, e perché lungi da me  mettere in difficoltà qualcuno che è nato nella mia stessa giungla di cemento, gli chiesi in maniera anticipata se  ci fosse qualche domanda a cui non avrebbe voluto rispondere, a cui non avrebbe potuto rispondere, mi rispose secondo un detto veneto : “ Soldi e paura mai avuti”. E’ vero, questo ragazzone di provincia, sembra proprio non importare di nulla, se non della sua famiglia e di sua moglie e dei suoi figli, che sono stati fondamentali anche per prendere decisioni, talvolta drastiche e cruciali della sua carriera.

L’immagine che ho avuto è di un ragazzo genuino, schietto e sincero, ma che ora vede i suoi errori e il suo parlare troppo con un occhio più maturo, con qualche amaro in bocca e forse con qualche grande rimpianto, come quel Mondiale del 2007 non disputato a causa della sua profonda irriverenza di ragazzo “ a cui faceva male la testa”. Ma di una cosa Staibano rimane certo, e cioè di aver detto sempre il vero, di aver detto sempre quello che pensava, e con quel tanto di rancore che sa di nostalgia, mi dice :” quell’anno ero tra i piloni più forti in Italia, e non potevo non giocare io”. Purtroppo a quel ragazzo della Piana del Sele, nessuno l’aveva spiegato che di certe dinamiche e di certe situazioni non puoi essere l’unico artefice, e che non basta sputare il sangue sul campo di battaglia, ma a che certi livelli conta anche altro, che probabilmente di “sportivo” non ha proprio nulla.