Vent’anni di storia per un gruppo rock significano un pubblico che cambia insieme alle idee. Per i Subsonica, per le storie di una esperienza lunga e multiforme sulla scena italiana, la voce di Samuel rappresenta l’umanità.

Un suono intimo sulla costruzione elettronica e commista del combo torinese. «La musica riesce ad attraversare le cose, taglia il tempo. Ha la fortuna di muoversi liberamente. Io ascoltavo i Beatles da bambino, quando già non c’erano più».

Ogni gusto è inevitabilmente frutto di una scelta, di un modo di sentire le cose. «Io ho sempre desiderato costruire i Subsonica, fin da quando fondammo gli Amici di Roland, gruppo in cui c’era anche Boosta. Nacquero un’estate a fare cover, quando cominciammo a improvvisare le sigle dei manga giapponesi, rendendoci conto che erano stampate nelle nostre orecchie, insieme al pubblico».

Il lavoro di amalgama all’interno di una band si mette in gioco con le scelte e le caratteristiche. «All’inizio eravamo una cosa sola, ci scambiavamo vestiti e a volte anche fidanzate. Poi ci siamo definiti meglio».

La tecnologia ha accompagnato la storia del gruppo, mettendo per primi un mp3 in rete, facendo campioni e avendo un sito e una chat diretta utilizzando la rete per raccontare la propria musica, era il 1998, eravamo tra i primi al mondo».

La carriera da solista, approdo ultimo che si affianca al percorso collettivo, prosegue sulla sua rotta. «Ero in barca quando ho preparato l’ultimo video, uscirà a settembre e si ispira al cinema, con un linguaggio da videomaker».

Lo stop della pandemia, le distanze, la necessità di ritrovare qualcosa e ripartire, rivede un senso intimo delle cose. Come in una solitudine, da un’altra parte rispetto al pensiero collettivo. «In gruppo inequivocabilmente cambia il modo di lavoro artistico, lasciando pezzi di te per pezzi degli altri, che non avviene nel percorso da solisti. Per scegliere come fare un pezzo, “incantevole”, ci stavamo per sciogliere. C’è dentro un errore musicale che ha fatto la fortuna del pezzo. Stare insieme significa difficoltà, in un settore che non viene preso sul serio. Voler fare il musicista richiama subito un’altra domanda, su che lavoro vuoi fare perché questo non lo è».

Le fruizioni moderne, spotify, l’ascolto spezzettato e fluido, sono un altro mondo rispetto agli anni novanta, e il cambio di meccanismo ha tolto l’esperienza del disco, dell’ascolto meditato. «Fortunatamente i tempi cambiano e puoi augurarti di lasciare qualcosa ai più giovani, andando fuori dalla dimensione dell’adesso».

Così la musica dei genitori, degli amici, forma poco per volte il proprio cuore. «Sono timido, la scelta della musica degli altri, ti portano da qualche parte dove tu scegli e ti appassioni. Per noi c’era il negozio di dischi, uscivi e c’era un signore che passava il tempo ad ascoltare musica per te e ti dava consigli».

Ciò che si nasconde nelle canzoni è un mistero di trasporto attraverso le cose, un meccanismo umano che conferisce l’anima alla materia. Come un respiro che resta in una macchina e la orienta. Verso le stelle di un cielo, su qualsiasi città.

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