“Je so accussì” è l’ultimo album di Serena Brancale, l’esplosiva cantante polistrumentista con una musicalità straordinaria Soul/Jazz.

Dopo la sua partecipazione al Festival di Sanremo del 2015, Serena Brancale ha lavorato con i grandi del jazz italiano e mondiale, per poi andare in tour con Il Volo, con Mario Biondi, collaborazioni con Willie Peyote, Enzo Gragnaniello, Stefano di Battista, Fabrizio Bosso e partecipazioni televisive con Filippo Timi e Raphael Gualazzi.

Serena Brancale è considerata oggi il fiore all’occhiello della musica soul/jazz italiana.

Oggi è possibile ascoltarla nel suo “Je so accussì”, ultimo lavoro discografico uscito il 25 marzo. Un album tosto, maturo ma soprattutto identitario. Un linguaggio musicale unico e fortemente personale, ricco di contaminazioni, che potrebbe essere sintetizzato dal termine “baretano”.

Un mix tra il dialetto napoletano e barese, terra d’origine di Serena Brancale, che si esprime al massimo nel titolo dell’opera discografica ma anche al suo interno, con almeno 2 pezzi in dialetto barese. Una vocazione, quella dialettale, che vuole anche rendere omaggio all’artista che più ha contaminato il mondo musicale di Serena Brancale: l’immenso Pino Daniele. Un album anticipato dal duetto di “Pessime intenzioni” con l’irpino Ghemon.

Come nasce la collaborazione con Ghemon?

Ci seguivamo da anni scambiandoci gusti e percorsi musicali. Quando ho proposto a Ghemon di collaborare su questa canzone, dopo averla sentita mi ha detto “Wow!”. Nessuno dei due sapeva che entrambi fossimo in un periodo di ascolti Anni ’70. Abbiamo sposato l’idea di omaggiare la Motown e ci siamo tuffati in questo mood intramontabile, ricco di sonorità vintage.

“Je so accussì” è un album che ha quelle sonorità?

L’album non ha solo un genere, ne ha tanti al suo interno. È ricco di contaminazioni, di sonorità nuove, mature. Mi piace pensare che è un album senza etichette. Un ibrido.

Come il jazz?

Si ma non si può definire un album solamente jazz o semplicemente pop. Il jazz è tutto e niente, ha continue evoluzioni e contaminazioni. Quest’album è una via di mezzo tra diverse contaminazioni e sonorità che mi hanno particolarmente colpito in questo periodo.

Questa via di mezzo in cui ti trovi è il pop?

“Je so accussì” è un album pop ma non solo. Tantissimi artisti ritenuti semplicemente pop provengono da una cultura jazz o soul, anche alcuni cantanti usciti dai reality. L’importante è che canti te stesso e in questo album lo faccio.

Una via di mezzo, quindi, come il baretano?

Esattamente, come una lingua a metà tra Bari, la mia terra, e Napoli, la città che con il dialetto cantato da Pino Daniele mi ha sempre affascinato e colpito.

D quanto tempo canti in barese?

Canto in barese da un po’ ma non da tantissimo. Ad oggi rimpiango di non averlo fatto prima. Ho riscoperto la lingua della mia terra quando ho visto in maniera chiara tutta la sua poesia. Per questo nell’album ci sono 2 brani in barese.

È stata tosta emergere con il dialetto?

Ci devi arrivare piano, un passo alla volta. Per me è più semplice cantare nel mio dialetto.

Per questo definisci “Je so accussì” un album maturo?

Si, assolutamente. In questo album esprimo, anche con il dialetto, il mio concetto di identità.

C’è anche un omaggio però.

Un omaggio a Pino Daniele, si, l’artista che più ha condizionato il mio amore per la musica.

Già a inizio anno aveva omaggiato Pino Daniele con una versione di “Je so’ pazzo” assieme a Richard Bona. Perchè?

Pino ha sdoganato a livello internazionale il dialetto napoletano con sonorità jazz, soul, blues e pop. Pino Daniele mi ha sempre ispirato tantissimo.

Adesso manca solo il tour. Pronta?

Siamo pronti a girare tutta Italia questa estate e a portare il mio baretano in tutte le date che comunicheremo da qui a breve.

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