“When they see us” è una serie disponibile di Ava DuVernay.
E’ la sera del 19 aprile del 1989 a Central Park, New York, quando la ventottenne Trisha Meili viene aggredita e violentata mentre fa Jogging.
La polizia arresta cinque ragazzi tra i 14 e i 16 anni, di cui quattro neri e un ispanico, interrogati per due giorni, senza dormire, fino alla confessione ottenuta senza avvocati: resteranno in cella per anni, senza prove.
Finchè nel 2002 uno stupratore seriale già in carcere rivelerà la sua responsabilità nel caso.
Se la narrazione vi sembra utile, la serie disponibile su Netflix confermerà questa idea, a patto di unire i puntini sul meccanismo della giustizia, in America e non solo.
La riflessione ribadisce la fragilità estrema dei poveri e del pregiudizio razziale a fronte del potere giudiziario e del potere in senso generale.
Siamo in tempi di rivolte necessarie e non pacifiche, innescate da atavici accumuli di soprusi, dolori e angherie per chi non ha avuto una piccola dose di fortuna di base. La storia tira in ballo la droga mediatica di cui si alimenta l’opinione pubblica, in un prodotto seriale di primo piano.
Il valore del film è comunque superato, in tutta evidenza, dall’urgenza del racconto.
A completare il tutto, come surreale ciliegina, c’è anche la figura di un maiale che allora cominciò a costruire la sua fortuna: a quel tempo Donald Trump puntò il dito contro il quintetto, acquistò una pagina di giornale chiedendo per loro il ripristino della pena di morte.
The Donald tirò dritto senza mai scusarsi né quando vennero scagionati né quando vennero risarciti, ribadendo la sua convinzione sulla colpevolezza anche in tempi recentissimi.
La morale del caso è scritta nei numeri e nelle cronache ultimissime da ogni parte degli USA.
In America un maiale bianco e ricco può diventare presidente.
Anche un nero può farlo, è vero. Ma per lui è molto più probabile l’arresto, il sopruso, l’ingiustizia.
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