Simona Binni è una delle autrici della casa editrice Tunué.
Nata a Roma nell’ottobre del 1975, Simona si laurea in Psicologia dello Sviluppo Evolutivo. Successivamente si diploma alla Scuola Romana del Fumetto.
Nel 2014 inizia la sua collaborazione con la Tunué, per la quale pubblica, come autrice e disegnatrice per la collana Tipitondi, Amina e il vulcano, che le vale il premio come miglior esordiente al Romics 2015 e la candidatura come Miglior fumetto per ragazzi al premio Carlo Boscarato, al Treviso Comic Book Festival 2015.
Successivamente, sempre per Tunué, pubblica Dammi la mano.
Sempre nel 2016 esce il suo terzo titolo come autrice completa, Silverwood lake , ancora per Tunué, ma stavolta nella collana per adulti Prospero’s Books e nel 2017 La memoria delle tartarughe marine e Stagioni: quattro storie e mezzo per Emergency.
Dal 2019 è il coordinatore artistico della collana Ariel Tunué che affronta temi legati al femminile e alla parità di genere.
Ariel, che prende il suo nome dallo spirito shakespeariano dell’aria, privo di caratterizzazione sessuale, è l’occasione per autrici e autori di raccontare con le loro storie temi cari alle donne.
Come spiega la stessa Simona non si tratta di una collana femminista un mezzo di riflessione aperto e onesto sul tema del femminile.
Come nasce l’esperienza di Ariel?
La collana nasce da un’idea del direttore editoriale di Tunué, Massimiliano Clemente, che me ne ha affidato lo sviluppo. L”intenzione era quella di trattare temi cari alle donne. Lavorando al progetto ci siamo resi conto però che creare un filone di genere non sarebbe stato utile. Quindi ci siamo orientati su uno spazio che desse voce a un dialogo tra i generi sul tema del femminile. Sfida forse più difficile ma certamente innovativa.
Qual è lo spirito profondo di questa esperienza?
Questa collana apre tante domande su cosa rappresenta il femminile. E la bellezza e la vera restituzione del senso profondo di questa ricerca arrivano dalle storie che mi vengono sottoposte e dal fatto che autrici e autori si mettano in gioco guardandosi dentro. Ovviamente questo coinvolgimento così intenso permette di scrutare nuovi orizzonti sia per la collana che per me stessa.
Da fumettista ad editor: com’è raccontare storie da questi due diversi punti di vista?
Ogni fumettista quando racconta una storia ha sempre bisogno di un occhio esterno che ne segua l’evoluzione sotto diversi aspetti, poiché quando scriviamo corriamo il rischio di innamorarci troppo della nostra creatura e renderla poco universale. Il lavoro dell’editor favorisce una visione più larga che consente alla storia di arrivare a un pubblico più vasto. Questi principi valgono sia per i progetti che seguo come editor che per i miei libri. Pensavo che fossero due tipi di soddisfazione diversa, invece veder nascere un lavoro, che sia il mio o di altri, è sempre un grande privilegio. E anche uno stimolo a continuare la ricerca.
Leggevo del tuo incontro con i ragazzi di una scuola media di Roma: quanto è importante il confronto diretto con i ragazzi e come questa generazione vive e affronta il rapporto con il maschile, il femminile e l’identità di genere?
Il confronto con le nuove generazioni è sempre bello e spiazzante. Ho avuto l’impressione che i giovani siano molto più avanti rispetto al passato, perché alcuni concetti sembrano già far parte del loro bagaglio emotivo e culturale. Ad ascoltarli c’è da imparare. Mentre vi sono generazioni che discutono di determinati concetti, i più giovani sono già proiettati sulla loro messa in pratica.
Leggevo anche dell’episodio di una mamma che ha restituito una copia di un libro acquistato per la figlia tredicenne, dopo aver scoperto che vi si raccontava una storia omosessuale: quanto lavoro c’è ancora da fare sugli adulti?
Bisogna ricordare che noi tutti scriviamo storie per tentare di aprire quanto più possibile il dialogo e dobbiamo continuare a perseguire questo scopo. Tenendo comunque la porta aperta anche a chi la pensa diversamente. Detto questo, il lavoro da fare è ancora molto, anche su noi stessi e su tutte quelle forme di pregiudizio che seppur inconsapevolmente spesso ci portiamo dentro.
Ci parli dell’ultima uscita per Ariel, Vento di libertà?
Vento di libertà è la prima opera come autore completo di Lelio Bonaccorso. E’ una storia coraggiosa che parla della determinazione di due donne, Dina e Clarenza, che combattono per la libertà. Ambientata durante i Vespri del 1282, racconta il risveglio delle coscienze dei siciliani che si ribellano agli oppressori. Ho trovato particolare e affascinante che il concetto di femminile fosse affidato dall’autore in primo luogo alla terra. Quella Sicilia che generosamente ha sempre saputo abbracciare popoli e culture. Oggi più che mai.
Ne La memoria delle tartarughe marine racconti una storia di forte attualità in cui il tema della fratellanza e delle radici si mescola a quello della migrazione e dell’immigrazione: quanta forza comunicativa ha il fumetto, in tutte le sue accezioni, nel raccontare temi così importanti e attuali e qual è il suo impatto sul pubblico?
Il fumetto è un mezzo potentissimo perché unisce la forza delle immagini a quella delle parole, quando questi due elementi sono sapientemente calibrati. Inoltre, in questi ultimi anni, il fumetto finalmente non è più considerato un prodotto esclusivamente per bambini ma la dignità e la complessità delle sue storie lo hanno elevato a potente strumento narrativo capace di arrivare anche a un pubblico più esigente. Infine il formato libro oggi chiamato appunto Graphic Novel e la sua presenza sempre più massiccia in libreria, aggiungono bellezza e spessore al grande lavoro che da sempre c’è nel mondo del fumetto.